Abbi cura di te

Si assiste, in questo ultimo periodo, ad una sorta di ondata neo proibizionista che attraversa le nostre città

Intellettuali, sociologici, professionisti della psiche, associazioni, amministrazioni locali paiono uniti in una sorta di attività legislativa – divulgativa tesa a rinverdire un verbo mai passato di moda: vietare.
Che spesso tracima nei media in un vocabolo ancor più preoccupante: combattere.

Una direttiva sociale che va dal gioco d’azzardo, ai comportamenti pro anoressia (nella fattispecie chi incita e sostiene la reazione di gruppi che la incitano o la favoriscono ) sino al Il bullismo.

Da ultimo, apprendo di una serata dedicata al tema dei pericoli di internet che ha, tra le altre cose, auspicato una sorta di divieto di utilizzo degli smartphone, giungendo ad ipotizzare un età limite prima della quale si dovrebbe impedire l’uso dei dispositivi cellulari.
Perchè? Cosa sostiene e motiva questa campagna generalizzata del ‘contro’?
Ha qualche possibilità di riuscire nel suo intento, quello cioè di salvaguardare l’incolumità psico -fisica dei cittadini?

Uno dei desideri primari dell’essere umano, è darsi la morte.

E ciò non avviene che rarissime volte in maniera eclatante e subitanea.
Più spesso questa cupio dissolvi prende la forma regolata di quella che siamo soliti chiamare dipendenza: drogarsi, bere, giocare d’azzardo, fumare pesante, lanciarsi con l’auto di notte oltre il semaforo rosso.
La voracità con la quale gli uomini tentano in mille modi di accorciare la loro vita non è segno di un impellente desiderio di morire, quanto di vivere.
Vivere in modo intenso, illimitato, come erano le promesse adolescenziali.
Questo è l’obbiettivo che tanti si prefiggono.
Nessuno può contrastare la volontà di chi, resosi conto della finitezza della vita e, per certi versi della sua meccanicità, cerca di ridursi a puro corpo per sfuggire all’angoscia dell’essere esistente, vivente.

É una delle grandi barzellette che ci raccontiamo quella dei buoni ‘stili di vita’.
Questo lo dico per tutti quei mondi che si muovono verso il sole dell’avvenire della cura, della riabilitazione, del contenimento del danno.

La sola cosa sensata che resta da fare è cercare di stabilire con questi soggetti un modo meno violento di saperci fare col proprio modo di godere, di consumare la vita.

Tutto è il resto è una mascherata proibizionista ed ipocrita, doppiogiochista, interessata di chi vuol tenere sè al di fuori delle vita, perché troppo impaurito dal suo gorgheggiare.
Vietare, vietare, vietare.
Vietate un pò quello che vi pare, non otterrete che un rinforzamento della legge perversa.

Siamo senza alcun dubbio di fronte ad un incremento sensibile di quelli che, specie tra gli adolescenti (ma non solo) possono essere definiti ‘comportamenti nocivi’.
Ci troviamo di fronte ad un periodo storico nel quale il termine ‘crisi’ ha perso le sue caratteristiche di eccezionalità, segnando piuttosto uno stato ormai cronico che ha ridefinito il legame sociale e sovvertito quelle che erano le fondamentali regole del lavoro come strumento di una generazione per assicurare un futuro alla prole.

Già nel 2012 una ricerca dell’Osservatorio della salute delle Regioni fotografava un aumento sensibile dell’uso di psicofarmaci, una maggior incidenza di depressioni e attacchi di panico.
Sino ad annoverare, per la prima volta, la perdita del lavoro come una tra e cause che spiegano l’incremento dei sucidi.
Il testo ‘Sucidio.
É infatti proprio di ogni periodo di crisi industriale-lavorativa il diffondersi nella società di queste modalità di sostegno con strumenti, chimici e non, che possono offrire una illusoria e a volte letale scappatoia dal cul de sac nel quale una generazione intera è finita.
Slot machines dagli angoli dei bar promettono una risoluzione miracolistica agli affanni economici.
Fiumi di cocaina che invadono le nostre vie, a prezzi sempre più bassi, catturano quegli adolescenti imprigionati in quella terra di mezzo popolata da chi ha cessato di sperare in un lavoro.
Sette religiose garantiscono un accesso immediato a mondi ultraterreni, liberi dagli affanni del quotidiano.
Reti virtuali permettono un senso di appartenenza in un mondo nel quale ogni identità, specie quella lavorativa, è divenuta liquida, come sostiene Z. Bowman.

Insomma, fughe.
Malevole, deleterie, spesso letali, ma fughe.
Disperate promesse di guarigione o sollievo contro le quali la Legge, se applicata con sola modalità censoria ed escludente, non può nulla se non incrementare, col divieto sordo e ottuso, zone grigie e delocalizzate ai margini della città, dove ricercare questi momenti di sospensione dalla realtà, liberi da una legge che si avverte come esclusivamente proibente.

La legge bruta non può nulla contro queste sacche di godimento se non esaltarne la magica attrazione.
Il suo uso per vietare un comportamento ritenuto dal senso comune ‘dannoso’ ma alquanto gratificante per il soggetto che ne gode appieno, non fa che rendere più appetibile, ad esempio, il traguardo di un assottigliamento infinito per chi sta oscillando sulla pericolosa soglia dell’anoressia.

Mi riferisco aa quei progetti di legge che volevano sancire pene detentive per chi incita e incoraggia i disturbi del comportamento alimentare.
Prima del passaggio giudiziario, o a latere, è necessario un movimento clinico, di rettifica che possa condurre il singolo a riflettere in nome e a fronte di chi si sta lasciando morire dimagrendo, o accettando di essere un oggetto di scarto.
Questa indicazione vale, come linea di azione, per tutte quelle campagne mediatiche che, rivolte alle più svariate ‘ludopatie‘, hanno come imperativo morale il vietare, barrare, cancellare, fornendo una sorta di identità a chi di questo fa una professione esclusiva.
Non sono altro che modalità indirette di rinsaldare ed esaltare quei comportamenti ‘patologici’ dei quali queste pretendono di essere la cura.

Ripetere sino all’estremo che esistono le ‘ludopatie’, erigerle a ‘malattia ‘socialmente diffusa, non fa altro che dare loro uno statuto, tramutandole in una sorta di ‘virus’ che penetra in città, deresponsabilizzando di fatto i singoli che gettano il denaro alle macchinette.
Stessa cosa vale per il ‘bullsimo’, (‘mio figlio è stato picchiato. In giro c’è molto ‘bullismo’ diceva una signora in platea, ad un seminario pubblico) e per tutta quella serie di neo patologie che il nuovo dsm si appresta a sfornare.
Il dato di fatto è che queste zone esistono, e la sola possibilità che si ha di intervento, è quella di prenderne atto, articolando strumenti sociali e legislativi centrati sul singolo e sulla sua parola mirando ad un limite che non sia un divieto proibizionista.

Interporre una capacita di ascolto uno per uno, senza che le voci e i problemi di chi gioca, si droga, o commette azioni violente affoghino in una malattia sociale, che per sua natura non tiene conto delle singolarità.
Fino a che si ragiona in termini di insiemi uniformi ( le donne, i giocatori d’azzardo, le anoressiche, i bulli, gli adolescenti) non ci si sposterà di un millimetro da una linea che serve a mantenere uno status quo.
E nemmeno si aprirà quel terreno nel quale i singoli possano essere aiutati e supportati mentre sono intenti nel loro dimagrire, gettare denaro alle slot machines o drogarsi.
Uno per uno.
Per chi ha applaudito le affermazioni di alcune sere fa, quelle cioè di ‘vietare’ gli smartphone ai minori, ricordo che l’adolescente, nativo digitale, nasce già in questo mondo, vissuto come un elemento strutturale del suo mondo.
Legittimare questo divieto apre una lunga e feconda strada di produzione diagnostica.
Saranno ben presto individuate nuove patologie, rinnovabili con i tempi che il mercato pretende.
Dalla ‘dipendenza da internet’ si passerà alla malattia da dipendenza televisiva, passando per la sindrome da I Phone, per arrivare a isolare e ‘patologizzare’ ogni forma di legame con i nuovi media, quando si riterrà il tempo di connessione sufficientemente lungo da giustificarne un ingresso nel campo della ‘anormalità’.

Un collega, del quale dimentico colpevolmente il nome, ha scritto che il medico cura l’uomo dai suoi eccessi del bere, del mangiare, dimenticando che l’uomo è tale propio perché eccede nel bere, nel magiare e nel darsi la morte.