I limiti dell’Edipo nella clinica contemporanea

Deleuze e Guattari nella loro celebre opera:
‘ L’ anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia’ muovono diverse critiche al plinto fondante dell’apparato psicoanalitico, vale a dire la triangolazione edipica.      Scrivono:   ‘Edipo ristretto è la figura del triangolo papà mamma,    la costellazione familiare in persona,  ma quando la psicoanalisi ne fa il suo dogma non ignora l’esistenza di relazioni dette preedipiche. In pratica questo significa l’influenza simbolica della generazione precedente nella determinazione dell’insorgenza delle psicosi ad esempio. (…) È questa a fare dell’Edipo una sorta di simbolo cattolico universale’.

Sono partito da questa evidenza, incontrata personalmente, per fare una breve disamina delle ammaccature presenti sulla carrozzeria dell’ammiraglia della dottrina freudiana servendomi della clinica esperita in questi anni, nonché attingendo al mio percorso personale.
Mi sono domandato se quella che D. e G. chiamano ‘l’edipizzazzione forzata cui la psicoanalisi si abbandona ‘ sia oggi presente nella clinica e a quali conseguenza possa portare.

Ogni analista, giocoforza elabora idee e deduzioni senza poter prescindere dal proprio luogo di nascita,  dall’ambiente nel quale lavora, dal proprio ceto di appartenenza.    Per questo motivo oggi assistiamo a idee tanto diverse tra di loro, seppure originate da medesimi corpus teorici,  a seconda di quale clinico le esprima. Questo perché tanti colleghi provengono da altrettanti humus culturali ed economici differenti tra di loro, in molti casi universi che mai si intersecano, o dai quali è appena possibile intuire l’esistenza di altre forme di vita.
Ecco la prima contraddizione insita nel concetto di scelta del soggetto, base fondante delle conseguenze che egli dovrà rettificare in corso di vita.
Si sceglie sempre’ mi diceva un agiato ed altolocato collega d’oltralpe, assai bravo, coscienzioso  e   preparato, riferendosi ad azioni delinquenziali o al limite della legge  messe in atto da diversi  analizzanti sui quali ci stavamo confrontando. Mi chiedo se costui, provenendo dal Cep di Palermo o da altre  zone economicamante depresse o completamente in mano alla n’drangheta , farebbe le medesime affermazioni. Chi appartiene ad un territorio ordinato e presieduto da legami mafiosi, fatto di codici ed usanze opposte alle leggi dello Stato, può davvero dire di no all’Altro quando, ad esempio, si mostra sottoforma di matrimonio combinato?      In alcuni casi, condividendo con lui una colazione, mi sono addirittura chiesto se abbia mai immaginato che possano esistere    altre realtà che non quelle raccontate dai suoi pazienti, anch’essi provenienti dal suo stesso locus confortevole. Insomma, si sceglie si, ma seconda di come l’Altro lo abbia già deciso. Sappiamo dall’antropologia che si impazzisce e si diventa folli  a seconda di come l’Altro lo decida, seguendo i suo canoni predefiniti. Questa differenza non è una contraddizione,  bensì la ricchezza di una psicoanalisi declinata secondo la riterritorializzazione di cui parlano D e G. Dunque un analista che provenga da ed operi quasi esclusivamente in un ceto medio borghese, accuserà  sicuramente  e massicciamente l’evaporazione del  padre di cui parla Lacan, teorizzandone la  scomparsa    e  le sue conseguenze  all’interno della  triangolazione    familiare.
Ma, appunto,  è necessario stare attenti  a non elevare questo dato a dogma universale, come spiegano D. e G.,  cadendo nella facile trappola di  estendere   a tutta la clinica  quel particolare edipo-familgia estrapolato dai propri analizzanti.

Padre, madre, figlio e sinthomo.

L’imposizione triadica dell’Edipo perde colpi alla luce di elementi che paiono essere strutturalmente terzi rispetto a lui. Una putrella esterna, di sostegno, oggi sempre più’ visibile e contabile, nella clinica. In questo caso. E mi riferisco al concetto lacaniano di Sinthomo,
Il sinthomo è un elemento dell’ultimo insegnamento  di Lacan. Un sedimento progressivo che il soggetto fa suo nel tempo, per sopperire alle carenze  strutturali del simbolico  sino a farne un punto centrale ed annodante  della sua struttura. Dunque un qualcosa di irriducibile, un uno per uno, una specificità non trattabile nè guaribile, ma che, come insegna J. A. Miller, va affinato e migliorato affinché se ne faccia uso.  Il  sinthomo, appare in quanto tale un elemento che permette all’individuo di sostenere la sua struttura, difettosa perché è il simbolico ad esserlo in quanto tale, al di la dell’influenza del duo padre madre. Si tratta di un elemento di sostegno ‘auto fabbricato’ che il soggetto è costretto a reperire fuori le mura, al di la, ed indipendentemente, da quello che possono lasciare mamma e papa. E’ ‘eccentrico’ al triangolo, se ne pone al di fuori, ma lo integra e lo sostiene. Ora, sappiate che la clinica del quotidiano evidenzia quanto sia attuale, reale e veritiera la forza che il sinthomo ha di sostenere soggetti sempre meno desideranti, sempre meno inseriti nella triangolazione edipica e da questa formati. Quegli uomini di desiderio che scarseggiano, come insegnano D. e G.

Vediamo un esempio clinico:
V nasce mentre i suoi si separano. Per molti anni porterà sulle spalle la ‘colpa’ da altri additata di essere non solo indesiderata, ma la causa che ha fatto rompere il tragolo mamma, papà, figli provocando il distacco tra i due. Manca qualsiasi riferimento maschile, non c’è un padre simbolico Per contro la madre appare iperprotettiva, ma opera una ‘protezione d’ufficio’, poiché in poco tempo si sbarazza di lui, incontrando un amante col quale se ne va.
Sin da subito V si appassiona alla pittura, e alla scultura, apparendo un ragazzo prodigio. Famiglia disastrata, ma lui, iperdotato. Diverse e continue sono le crisi che lui ha nel corso della sua crescita. Depressioni, senso di depersonalizzazione, passaggi all’atto, ricoveri. Tutto quello che attiene alla psicosi che, però, tuttavia, non si scatena mai. Nel corso del tempo si costruisce, si affina e si definisce quel punto terzo che lui, intravedendo il disfacimento della sua famiglia, aveva sin da piccolissimo già ripetuto.
Gli scossoni del suo sviluppo, non sono solo i contraccolpi per la struttura che perde pezzi e va in frantumi, ma il prendere progressivamente le misure con un qualcosa che egli aveva già reperito la fuori, consapevole sin dalla tenera età che non aveva assi sui quali poggiare.
Un bambino senza gambe che sin dall’inizio intuisce che la fuori c’è una moto, potente, che può sopperire ad un difetto congenito, un mezzo che lui sa di dover cavalcare sin da subito.
Perché’ sempre, e per tutta l’adolescenza la passione per la pittura e lo studio del disegno ne accompagnano le giornate, mostrando de facto il suo intreccio vitale con questo sinthomo.
Oggi, che la famiglia si è definitivamente dissolta, lui sta bene al mondo, vivendo di pittura ed arti grafiche. Nel corso della sua analisi la regressione che si inoltra sin nei momenti della prima infanzia, mostrando la validità dell’assunto di base, tocca temi quali ‘ disegnare era la mia passione sin da…i colori erano tutto già da sei anni’. Nessun ricordo di padre, madre. Nessuna insegnamento, nessuna figura che lo ha sostenuto o portato.

Psicoanalisi e polizia

La ‘forzatura’ di un certo mondo analitico nel voler restringere ogni manifestazione umana a una versione proto Edipica definita da D. e G.   come similare alla trinità cattolica, è oggi una tendenza assai diffusa che porta a una deriva   ‘poliziesca ‘ .  D. e G. condividono l’approccio della ‘generazione dei fratelli’, ( A. Mitscherlich ‘ Verso una società senza padri’) , quella lacanianamente  segnata  dall’evaporazione del padre. Si tratta, che lo si concordi o meno, di una constatazione di ordine simbolico la quale, tuttavia, non deve essere intesa nella declinazione riduttiva,  oggi in voga,  della ‘mancanza dei papà’, i quali ci sono, continuano ad esserci nei modi che la strumentazione simbolica loro permette.

La  volontà coercitiva, e a clinica,  di voler ‘edipizzare’ questa società, imponendo una versione arcaica   dell’Edipo trino comporta,  rispetto a ‘quelli che non si lasciano edipizzare’ ,   che ‘ lo psicoanalista è li pronto a chiamare in aiuto il manicomio o la polizia. La polizia con noi! Mai la psicoanalisi ha mostrato meglio la sua propensione ad appoggiare il movimento

Ecco dunque, potete leggere in questo modo e solo immaginare, quale sia la deriva di tante ‘analisi’ che sfociano semplicemente in una repressione dell’inconscio, che non vuole lasciarsi ‘edipizzare’ da una visione  rigida di una struttura, quella edipica,  che alcuni analisti non sono riusciti, o non hanno voluto, modellare in funzione del tempo.

La naturale perversione

Gli autori , mettendo alla prova l’edipizzazzione forzata della clinica, ne individuano alcuni vulnus che confermano la bontà della loro critica. Uno fra tutti: la questione della perversione.  Quale è appunto il vulnus che essi isolano? La perversione. La perversione è il grande rimosso, il grande tabu’ del mondo analitico. Il perverso non accede ai luoghi analitici. Essi sostengono che ‘  il perverso si lascia mal edipizzare, perché mai accetterebbe supinamente , dal momento che si è inventato  altre territorialità ancora piu’ artificiali  dell’Edipo?’ Ecco allora la questione, da loro isolata che piomba a piene mani nel quotidiano. Il perverso va  in analisi? E la comunità analitica, cosa ne pensa? L’apparato analitico oggi, è disposto ad aprirgli  le porte? (Ne scrissi ampiamente qua -> http://www.psychiatryonline.it/node/4647)
Per introdurre questo argomento parto da un obiezione che un collega della SPI, fece in risposta ad un mio intervento relativo alla perversione diffusa nel contemporaneo, e alla necessità di ‘aprire le porta ‘ al perverso.

Si, ma questo non è, in fondo, un modo di colludere col perverso, mutando il fondamento stesso dell’apparato analitico? Mi disse.
Ecco, questa obiezione nasconde la cifra della piega che fa l’acqua del ruscello, quando si strozza nella curva e da un lato prosegue, dall’altro viene risucchiata da un mulinello dalla foce del fiume dalla quale sgorga: c’è schiuma in superfice che tradisce un movimento di opposti che non riescono ad armonizzarsi. Se seguiamo alla lettera non solo la lezione di Lacan, ma anche quella di D. e G. la ribalta della perversione oggi è un dato di fatto, non una variabile in discussione. Se, come gli autori indicano, si deve seguire l’inconscio nei suoi meandri piu’ profondi, si arriva a quel ‘ al di la di ogni legge’ il che tratteggia, appunto, la perversione. Non intesa come deviazione da costumi morali ma , appunto, lacanianamente, come ‘un’altra legge’, la possibilità dell’esplorazione di un’altra vita possibile, non assoggettata all’Epido. Il nocciolo è perverso. Senza legge.
Un opera di carotaggio estrae un nocciolo de facto contrario ad ogni edipizzazzione, che avviene, come avviene in analisi, e solo successivamente nel corso della sviluppo del soggetto, con le necessarie dighe e strozzature che mettono l’altra legge a margine di quella dell’Edipo. ( il bambino non è infatti quel ‘perverso polimorfo ‘ di cui parla Freud?) Ma, e qua voglio sottolineare il punto in questione, si tratta di un carotaggio che può aver effetti devastanti qualora sia l’analista che, assistendo all’apertura del vaso di Pandora , imponga  una edipizzazzione  forzata, in studio, falciando con regole, dogmi ed imposizioni ciò che invece in studio ha il diritto, analitico di fluire seguendo le leggi libere del gas. D. e G. sostengono ‘ quante interpretazione del lacanismo, apertamente o segretamente pie, hanno così incontrato un edipo strutturale  per ( ..) ricondurci alla questione del padre. Continuano D e g (…) ‘Quelli che non riconoscono l’imperialismo di Edipo sono pericolosi devianti, dei gauchiste che devono essere affidati alla repressione sociale e poliziesca, parlano troppo’ 

Uomini del desiderio

Le riflessioni ottenute dalla lettura del testo mi hanno portato, a cascata, ad alcune riflessioni le quali esulano dalle mura analitiche, per toccare modalità di espressione dell’uomo che in seduta germogliano, e che vivono poi di vita propria, determinato, se tale crescita è seguita, l’esito di un analisi ben riuscita.  D. e G. scrivono ‘ Questo uomini del desiderio sono come Zaratustra. Conoscono incredibili sofferenze, vertigini e malattie (..) Ma un tal uomo si esibisce come uomo libero, irresponsabile, solitario e gioioso(…) Ha semplicemente cessato di avere paura di diventare pazzo.  Vive se stesso come la sublime malattia che non lo toccherà mai più’. Riportano e fanno loro le parole di Laing : ‘Gli uomini del futuro immagineranno la nostra epoca (…)come un vero e proprio secolo dell’oscurantismo. (..) Sapranno che quella che noi chiamiamo schizofrenia, era una delle forme sotto cui la luce ha iniziato a filtrare attraverso le fessure delle nostre menti chiuse. La follia non è necessariamente un crollo, essa può essere anche un apertura(..) Essere pazzo non è necessariamente essere malato, anche se nel nostro mondo i due termini sono divenuti complementari. 

Costoro ‘ Varcano un limite, rompono un muro, la sbarra capitalistica.

Come non pensare a Robert Pirsig e alla sua ‘Lila?’

E gli era venuta anche un ‘altra immagine: di se stesso che per tutta la vita si era tenuto in equilibrio su una fune. Poi c’era stata la caduta, e lui aveva scoperto che, anziché sfracellarsi, sapeva volare, che aveva questo miracoloso e insospettato dono’ . 

Egli  scrive a tal proposito:

Più che presentare questa o quella caratteristica comune, i pazienti psichiatrici colpivano semmai per l’assenza comune di una particolare caratteristica: mancava l’adesione a quell’abituale gioco delle parti che caratterizza le persone ‘normali’. I sani non si rendono conto di essere una manica di commedianti, ma i matti vedono la finzione e si irritano. 

[…] Quando sei d’accordo con loro, i sani di mente sono di grande conforto e protezione, ma quando dissenti, le cose cambiano. Diventano pericolosi, non si fermano davanti a niente. […] Le persone che più amava e che più lo amavano erano diventate tutt’a un tratto ostili, senza eccezioni. I sani di mente non dubitano mai della propria bontà d’animo perché glielo conferma la cultura. Chi dissente è malato, Quando un matto (o una persona sotto ipnosi o un membro di una cultura primitiva) dà una spiegazione dell’universo che è in totale contraddizione con la realtà scientifica corrente, non dobbiamo necessariamente pensare che si sia posto fuori dal mondo empirico. Semplicemente egli privilegia schemi intellettuali che a noi, poiché esulano dalla nostra cultura, sembrano possedere una bassa qualità […]. Ovviamente a nessuna cultura sta bene che si violino i suoi schemi.

Dio, dentro e fuori lo studio

Nel  paragrafo   ‘La sintesi disgiuntiva di registrazione’  D e G descrivono e avvallano la triangolazione Edipica, come elemento capace di fornire all’io quelle ‘coordinate che lo differenziano nello stesso tempo quanto alla generazione, quanto al sesso e allo stato’. Un elemento basilare ed invariante, che trova la sua conferma , ad esempio anche nell’Edipo delle famiglie migranti, i cui figli hanno nome , cognome, territorialità e differenziazione sessuale, prima che si innesti altro nel corso della crescita. Diciamo, insomma, che la scocca di fabbrica ancora mantiene una sua precisa funzione determinate e forgiante.  Su cosa si soffermano gli autori? L’esempio dello schizofrenico, o dello psicotico che parla con Dio come Schreber, mette in campo un terzo ( Dio), che ha un effetto prevaricante e prevalente  nei confronti dei due assi portanti dello schema: padre e madre.  Essi parlano di un soggetto ‘trans-posizionale- Schreber è uomo e donna, genitore e bambino, morto e vivo.  Ecco perché il Dio dello schizofrenico ha così poco a che vedere con il Dio della religione’ .Lo schizofrenico ‘libera una materia genealogica greggia, illimitativa, ove può mettere, iscriversi , rintracciarsi in tutte le diramazioni contemporaneamente.. Fa saltare la genealogia edipica.’

Eva, nome di fantasia, è una ragazza che indossa sempre i jeans e studia da avvocatessa. Litiga ferocemente con padre e madre che non sono d’accordo sul suo desiderio.    Alla prova della nevrosi tuttavia ella cade ammalata quando il suo fidanzato conosce uno scompenso psicotico grave a seguito di un licenziamento.  Nel suo dire  il compagno paga   una maledizione degli ‘jinn’, spiriti locali propri della sua terra, per aver infranto un tabu’. Non certo per il licenziamento.   E’ su questa tensione con l’Altro di provenienza, sul timore che una qualche infrazione abbia minato un ordine naturale della sua antica madre patria  che si ammala . Come si vede non è una donna ingabbiata  dentro la triparizone edipica, ma questo non la salva dalla nevrosi

Ecco dunque a cosa voglio arrivare: questo è il solo Dio ammesso in seduta. Quello dei fenomeni elementari, delle allucinazioni.  Questa è la sola presenza di Dio che, come D. e G. indicano, possa vivificare il soggetto, riprenderlo dagli abissi, dargli una forza che nessun analista potrebbe trovare, in nessun luogo. Questo Dio è terapeutico,  risolutivo.

Cuce, tiene unito, rammenda, lega, compensa. Sostiene.
Il Dio che placa l’angoscia del fobico, il Dio col quale si parla psicoticamante. Il Dio che salva la madre dagli abissi del lutto in elaborabile  allorquando perde un figlio.
Il Dio del padre che prega e, pregando, non prende psicofarmaci.
Io ricordo bene la preghiera di una donna affetta da crisi di panico, su struttura pre psicotica, la quale ad ogni crisi ingestibile, si recava in chiesa e, invocando Dio, otteneva pacificazione.
Ma era lei a farlo, così come Schereber  si sentiva chiamato da Dio.

Non, come purtroppo oggi vediamo, il Dio convocato dall’analista che da all’analisi un impronta  confessionale.
Si, perché oggi., a fronte dell’evidente scricchiolio dell’impalcatura edipica, a fronte delle sue evidenti lacune o incapacità a spiegare tutta la psicopatologia corrente, è assai in voga uno strumento pernicioso: l’appello a Dio come elemento esterno capace di rammendare il malfunzionamento dell’apparato  nello spiegare  lo sviluppo del soggetto. In pratica, piuttosto che accettare l’inserzione di altre discipline ( come, ad esempio, le neuroscienze), ammettendo infine che solo prendendo atto dei suoi limiti il ferro edipico può  continuare a funzionare, purché corretto, si preferisce ignorare le sue zone di inapplicabilità, forzando la realtà tutta ad adeguarsi alla sua forma arcaica. Ne risulta una visone distorta del quotidiano, come se qualcuno cercasse, oggi,  di spiegare ii fenomeni atmosferici forzando la natura a sottoporsi al sistema Tolemaico.

Lo psicoanalista J.A . Miller, scrive  ‘Gli analisti non sono solo analisti. Essi sono anche cattolici, credenti, non credenti, omosessuali, conservatori, progressisti, etc. Possono essere a favore o contro, pensare che devono impegnarsi in o no, che sia meglio mantenere il silenzio prudente di Conrad. Ma, come studiosi di Lacan, non possono, a mio parere, opporsi al matrimonio gay in nome della psicoanalisi’.
Da psicoanalista di periferia, mi batto affinché la psicoanalisi venata di quel cristianesimo cattolicheggiante, sia un eccezione in un mondo secolarizzato. Perché l’inconscio è laico.
Posizionare Dio fuori dalla porta dello studio, de facto, dandogli il ruolo di ‘garante’ del setting, toglie qualsiasi legittimità clinica a questa pratica analitica.
La rende spendibile, appetibile, ruffiana e corteggiata.